Festa nel lager. Naziskin a Dachau

 

 

Giovani
da Bolzano nei campi di concentramento SS, per gridare ‘Sieg heil’. O
per farsi ritrarre con l’accendino sotto le immagini delle sinagoghe
bruciate. In esclusiva le foto del ‘turismo dell’Olocausto’

Nazi altoatesini davanti a una lapide
Sono l’avanguardia dell’orrore, quella capace di superare ogni limite.
Nazisti pronti all’insulto più estremo, all’oltraggio di qualunque
memoria. Eccoli, fare il saluto hitleriano davanti al cippo che ricorda
il forno crematorio di Dachau. Mettersi in posa compiaciuti accanto a
quella scritta agghiacciante ‘Arbeit macht frei’ sul cancello che
migliaia di ebrei hanno varcato una sola volta. Poi mostrare le loro
magliette con le machine-pistol usate dai guardiani per abbattere chi
non obbediva ciecamente agli ordini. E sfoggiare le t-shirt con la
sagoma delle SS davanti al monumento ispirato dall’intreccio dei corpi
scheletrici nelle fosse comuni. Istantanee di una gita che incenerisce
i confini della decenza, scattate per renderle oggetto di culto tra i
camerati, come per dimostrare un primato ideologico: avere inneggiato
al führer del Terzo Reich nel luogo dove l’Olocausto venne concepito.
Dachau, a pochi chilometri da Monaco di Baviera, è il primo lager,
quello in cui furono rinchiusi gli ebrei catturati nella ‘Notte dei
cristalli’ e gli oppositori del regime, quello usato per sperimentare
il genocidio.

Le
foto che ‘L’espresso’ pubblica in esclusiva sono state sequestrate dai
carabinieri del Ros di Bolzano durante un’inchiesta sui naziskin
altoatesini. Erano conservate da alcune delle persone ritratte, che le
esibivano con orgoglio ai loro accoliti. I sette camerati ripresi nelle
immagini hanno patteggiato condanne comprese tra 12 e 30 mesi di
carcere: l’ultima sentenza risale a poche settimane fa. Ma ai fini
della pena questo reportage incredibile non ha avuto effetti: per il
codice penale italiano il turismo dello sterminio non ha rilevanza.
Nemmeno la legge Mancino, quella creata nel 1991 per porre freno
all’ondata montante di razzismo, ha ipotizzato un tale baratro di
disprezzo. Il procuratore capo Cuno Tarfusser e il pm Axel Bisignano
nel sostenere l’accusa contro la banda di gitanti a Dachau non hanno
potuto far pesare quello sfregio alla Memoria. Eppure il fenomeno dei
tour nazisti è in crescita costante: dai luoghi hitleriani classici si
passa sempre più spesso a incursioni antisemite. Che precipitano dalla
goliardia alla vergogna.

Come
definire altrimenti la foto, sequestrata dal Ros nella stessa
operazione, che ritrae i due naziskin con l’accendino in mano sotto la
lapide che ricorda la prima sinagoga incendiata in Germania durante la
‘Notte dei cristalli’? In quella vacanza a Potsdam, in Brandeburgo, nel
luogo del primo assalto delle camicie brune, la formazione è la stessa.
Sono sette italiani dell’Alto Adige, inquadrati come militari,
capeggiati dal ‘comandante’ Armin Sölva e dal suo vice Christoph
Andergassen. Hanno dai 18 ai 26 anni e nonostante le sentenze restano a
piede libero.

L’organizzazione
di Sölva e Andergassen è la Südtiroler Kameradschaftsring per la lotta
di liberazione del Sudtirolo, con tanto di statuto messo nero su
bianco: tra gli obiettivi, l’istigazione all’odio razziale e la
venerazione di Hitler e ai suoi gerarchi. Una fede malvagia celebrata,
secondo i risultati delle indagini, con minacce, pestaggi e
devastazioni. Che li trasforma nell’avanguardia di una rete nera che
attraversa l’Europa e che vede sfilare fianco a fianco camerati di ogni
paese, spesso divisi da questioni etniche, come accade tra sudtirolesi
e italiani, ma pronti a fare fronte comune con il braccio teso.

Identici
gli slogan, testimoniati anche dalle magliette indossate nel lager
bavarese. In una foto si vede Armin Sölva inginocchiato, mani giunte in
atto di ringraziamento per lo sterminio, nella cappella che ricorda i 3
mila sacerdoti cattolici deportati. In un’altra, due camerati entrano
nell’edificio centrale del campo dove è allestita la mostra sul Terzo
Reich e in tenuta da skinheads posano sorridenti davanti alla grande
scritta SS. Altri due compaiono vicini a una celebre frase della
propaganda del Reich: ‘Unsere Letzte Hoffung. Hitler’ (la nostra ultima
speranza: Hitler). Indossano t-shirt con l’immagine di un soldato
tedesco e di supporter di estrema destra, sempre dentro il campo di
Dachau. Poi di spalle, piegati, con l’immagine di un mitragliatore su
una t-shirt e sull’altra la scritta ‘Siamo dei criminali convinti’,
spingono giù il cippo di marmo eretto dove sorgevano i forni crematori.
In un’altra immagine due del gruppo si mettono davanti al muro di
cinta, sono ai lati di un cartello che indica la linea oltre la quale
le guardie sparavano sui deportati:
si immedesimano negli aguzzini degli ebrei.

Il
lager, un monumento che dovrebbe essere tutelato in nome dell’intera
umanità, appare incustodito. Nessuno ferma questi giovani altoatesini
dal look inconfondibile. Si sono mossi indisturbati per ore, padroni
del campo di sterminio dove non è stato nemmeno possibile stabilire un
bilancio del massacro: dei 206 mila reclusi registrati, almeno 43 mila
persero la vita. Ma si ritiene che molti deportati non venissero
segnati nella contabilità del genocidio e che negli ultimi mesi del
1945 malattie e denutrizione fossero più letali delle SS: gli americani
scoprirono 39 vagoni ferroviari colmi di cadaveri spettrali. Un
inferno, che adesso serve come fondale per le foto-trofeo dei ‘figli
del Führer’.

Le
trasferte in Germania e in Austria del gruppo altoatesino non servono
solo per il turismo dell’orrore: sono fondamentali per consolidare i
legami con le altre formazioni di estrema destra. I carabinieri dei Ros
hanno infatti scoperto rapporti con almeno tre gruppi tedeschi e due
austriaci con sede a Innsbruck, Vienna, Linz, Dresda, Berlino, Monaco e
Norimberga. In una foto Sölva e Andergassen sono nella sede della Npd,
il partito tedesco di estrema destra, con due rappresentanti del
movimento politico berlinese: uno di questi è lo stesso uomo che ha
accompagnato Sölva a Potsdam e che forse ha fatto da guida turistica
nei lager.

È
in questi raduni che si saldano anche i rapporti fra i neonazisti
altoatesini di lingua tedesca e quelli italiani. A Passau, nella
manifestazione per ricordare Rudolf Hess, l’enigmatico delfino di
Hitler diventato uno dei miti nazisti, hanno marciato insieme. In una
foto si vede in primo piano il gruppo di altoatesini e dietro sfilano
gli aderenti al Fronte Veneto Skinheads, oggi rappresentati da Giordano
Caracino, 28 anni. Secondo i rapporti dei carabinieri, nel marzo 2006 a
Braunau am Inn, paese natale di Hitler, giovani del Fronte Veneto e
naziskin da Roma, Verona, Trieste hanno sfilato e gridato slogan dentro
un capannone: “Siamo tutti figli del Führer e discepoli del Duce”.
Erano presenti anche gli skinheads dei Braunau Bulldog, che nel 2005
fecero una gita a Mauthausen e dopo se ne andarono in una pizzeria a
festeggiare: in Austria lo scandalo diventò un caso politico. Ma il
loro gesto è diventato un modello da imitare, anche per i bolzanini.
Che nelle istantanee posano davanti al cippo del forno crematorio di
Dachau, dove una scritta invita alla riflessione: ‘Pensate a come noi
morimmo qui’. E loro invece alzano il braccio e gridano ‘Sieg heil!’.

Paolo Tressardi 

(11 ottobre 2007)

 

Sottovalutati e tollerati

“Il
fenomeno del rigurgito neonazionalistico credo sia stato sottovalutato,
se non addirittura tollerato. Certo è che non si è compreso fino in
fondo il potenziale di offesa e di pericolosità di questi gruppi”.
Parla il procuratore di Bolzano Cuno Tarfusser, che ha coordinato le
indagini sul gruppo protagonista del ‘turismo dell’Olocausto’. In Alto
Adige pare che siano almeno cinque i gruppi attivi con più di 150
militanti e molti fiancheggiatori. Lei ha creato un pool di magistrati
che si occupa di naziskin.


“Sì, perché è evidente che, per poter meglio controllare il fenomeno, è necessario seguirlo, monitorarlo e conoscerlo”.


Che idea si è fatto di queste persone?


“Presi singolarmente sono giovani con poca personalità e poco carattere: trovano un’identità forte solo nel gruppo”.


Il ‘turismo dell’Olocausto’ è un fenomeno recente?


“Non credo, né credo riguardi solo i neonazisti. Lo abbiamo documentato in relazione a luoghi hitleriani:


ciò che preoccupa è la giovane età di questi turisti”.


Non è stato però possibile applicare la legge Mancino.


“No, a questo allucinante turismo non è applicabile la legge Mancino”.


Ma nei lager non ci sono controlli?


“Posso immaginare che sia estremamente difficile attuare controlli tali da rendere impossibile l’accesso a queste persone”.

 

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